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A una anno dall’uccisione di Nina, Montecerboli

E’ passato un anno dalla morte di Nina, uccisa barbaramente da suo marito a Montecerboli il 22 ottobre 2016. In quell’occasione molti pronunciarono parole, promesse, cadde persino qualche lacrima istituzionale: un grande rumoreggiare di persone, stampa e istituzioni attorno a un femminicidio, il secondo in questo territorio. Un triste record per l’Alta Val di Cecina. Poi, di nuovo il silenzio.

E dietro a questo silenzio, ancora tante donne diverse che faticosamente cercano di uscire dalla violenza che è presente trasversalmente in questo territorio così come in altre parti d’Italia. Queste donne si trovano ancora troppo spesso isolate a fronteggiare difficoltà tra cui sguardi superficiali e chiacchiericci di paese che le fanno sentire sole, difficoltà pratiche spesso di natura economica, mancato riconoscimento della violenza che vivono da parte di personale sanitario o delle istituzioni, oltre che pericoli e pressioni cui sono sottoposte dal momento in cui decidono di provare a liberarsi dalla violenza.

Come centro che dal 2009 opera per sostenere ed accompagnare le numerose donne dell’Alta Val di Cecina, noi delle Amiche di Mafalda sappiamo che molto si può e si deve ancora fare in questo territorio. In questo momento vogliamo ricordare Nina, Sandra e le altre donne italiane che sono state uccise per mano di coloro che dicevano di amarle, chiedendo a gran voce un maggior impegno da parte di ognuno. Per non restare generiche e lasciare svanire nel nulla l’indignazione che ci prende ogniqualvolta dobbiamo ricordare una donna uccisa da un uomo, proviamo a proporre alcune linee di intervento.

Innanzitutto, il Tavolo di contrasto alla Violenza di Genere che la Società della Salute si è impegnata nel 2015 ad attivare e animare per mettere in comunicazione e coordinamento tutti coloro che sono impegnati su diversi fronti per combattere questo fenomeno, deve essere riattivato. E’ una responsabilità istituzionale non solo rendere concreto l’impegno preso sulla carta, ma anche fare di questo Tavolo un luogo di reale scambio per la creazione di una rete ampia, dalle istituzioni alle forze dell’ordine fino alla comunità locale, che accompagni la donna nel suo difficile percorso di uscita dalla violenza.

Inoltre, riconoscere ai centri antiviolenza il ruolo principale di accoglienza di queste donne e, invece di isolarli o stigmatizzarli come luoghi di vetero femministe, valorizzare i saperi e le competenze che vengono messe a disposizione di moltissime donne da oramai trent’anni a questa parte. Quindi, è importante che da questo riconoscimento di valore, che fortunatamente le donne coinvolte in situazioni di violenza già fanno accedendo quotidianamente ai centri in tutta Italia, si passi a un
reale sostegno, e non ci riferiamo solo al mero sostegno economico.

Proprio da questi centri partono progetti di prevenzione della violenza nelle relazioni affettive tra adolescenti, progetti che rappresentano il vero vaccino contro la violenza di genere. Queste attività nelle scuole vanno incrementate e sostenute con forza perché rappresentano la reale prevenzione primaria della violenza maschile sulle donne. Inoltre, in questi centri si realizzano formazioni dirette alla comunità locale, a personale docente e del mondo socio sanitario che permettono di condividere conoscenze e competenze che aiutano a riconoscere la violenza attorno a noi e a creare una comunità capace di indignarsi e a non lasciare sole donne in difficoltà.

Per ricordare Nina, Sandra e soprattutto per tutte le donne che proprio ora si trovano a vivere il dolore della violenza, proviamo a indignarci. Proviamo a rispondere come comunità, come territorio. Non lasciamole sole.